Il fascino discreto del “… dixit”: un viaggio tra autorità, critica e prestito di voce nel mondo latino
Nel panorama espressivo latino, spesso ci imbattiamo in formule che, pur composte da poche parole, racchiudono interi universi concettuali. Una di queste è il “… dixit”, letteralmente traducibile con “lo ha detto…”. Ma dietro questa apparente semplicità si cela un mondo variegato, fatto di richiami all’autorità, di spirito critico e di un ingegnoso gioco di voci.
Partiamo innanzitutto dal contesto storico. Il “… dixit” non nasce come espressione autonoma, bensì come parte di una frase più ampia. La sua comparsa è legata a un nome fondamentale della filosofia e della retorica romana: Marco Tullio Cicerone. Cicerone, nella sua sterminata produzione letteraria, spesso riportava le idee di filosofi greci come Platone e Aristotele. Per introdurre questi concetti, utilizzava formule come “Pythagoras dixit” (lo ha detto Pitagora) o “Plato dixit” (lo ha detto Platone).
Tuttavia, Cicerone non si limitava a riportare acriticamente le opinioni altrui. Egli era un pensatore eclettico, che filtrava le teorie dei filosofi greci attraverso il proprio bagaglio culturale e le rielaborava per adattarle al contesto romano. In questo senso, il “… dixit” serviva non solo a citare la fonte, ma anche a prendere le distanze da essa. Cicerone, pur riconoscendo l’autorevolezza di certe figure, non si sentiva obbligato ad accettarle tout court.
Con la caduta della Repubblica e l’affermarsi dell’Impero, il “… dixit” subisce un’evoluzione. L’autorità politica si concentra sempre più nelle mani dell’imperatore, che diviene anche un’autorità intellettuale. Le sue decisioni e i suoi pronunciamenti assumono un valore indiscutibile. In questo clima, il “… dixit” riferito all’imperatore acquista un significato di verità assoluta: ciò che l’imperatore dice è legge, non solo in senso giuridico, ma anche in senso filosofico.
Tuttavia, non tutti accettano passivamente questa deriva autoritaria. Alcuni autori, come Seneca, pur mostrando rispetto per l’imperatore, utilizzano il “… dixit” in modo ironico o critico. In questi casi, il “… dixit” diventa un modo per mettere in discussione l’infallibilità del potere e per riaffermare il valore del pensiero critico.
Con la fine dell’Impero romano d’Occidente e l’avvento del Medioevo, il “… dixit” conosce una nuova vita. In un’epoca dominata dalla riscoperta e dalla rilettura dei testi classici, l’espressione viene utilizzata per attribuire autorità assoluta ad Aristotele, visto come il massimo filosofo dell’antichità. Si diffonde così la locuzione “Ipse dixit” (egli stesso lo ha detto), che sottintende l’indiscutibilità delle affermazioni aristoteliche.
Tuttavia, anche in questo periodo il “… dixit” non perde del tutto la sua carica critica. Figure come Abelardo e Roscellino, esponenti della corrente filosofica nota come nominalismo, utilizzano il “… dixit” per mettere in discussione l’autorità indiscussa di Aristotele e per rivendicare la libertà di pensiero e di interpretazione dei testi.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento, il “… dixit” torna a essere utilizzato in modo più ciceroniano. Gli studiosi riscoprono l’importanza del confronto tra diverse scuole di pensiero e del vaglio critico delle fonti. Il “… dixit” diventa allora uno strumento per citare le fonti antiche, per confrontarsi con esse e per elaborare nuove teorie.
Ancora oggi, l’eco del “… dixit” risuona nel mondo accademico. Quando uno studioso cita un autore precedente, utilizza espressioni come “come afferma X” o “secondo Y”. In un certo senso, queste espressioni sono discendenti del “… dixit” ciceroniano. Esse servono a dare credito alle proprie argomentazioni, ma anche a sottolineare il contributo di chi ci ha preceduto.
Ma il “… dixit” non è confinato solo all’ambito accademico. Pensiamo a tutte le volte che, in una discussione informale, citiamo l’opinione di un esperto per rafforzare le nostre idee. Diciamo: “lo dice anche il professor Rossi” o “come sostiene la dottoressa Bianchi”. In questi casi, stiamo utilizzando una