Nell’era del cambiamento economico, l’idea di una valuta unica è diventata sempre più appetibile per i paesi dell’Unione Europea. Nel 1999, l’Euro è stato introdotto come una moneta virtuale, subito successo al Deutsche Mark, la moneta tedesca. Nel 2002, l’Euro è diventato la moneta ufficiale dell’Unione Europea, sostituendo le vecchie valute nazionali. Ma come si è arrivati a questa unificazione del sistema monetario europeo? E cosa significa per i nostri bancomat i nuovi 13 miliardi di lire in euro?
Dall’inversione del cambio alla valuta europea
L’idea di una moneta unica risale almeno al 1969, quando il ministro delle finanze tedesco, Karl Schiller, propose un piano per creare un’unità di conto comune. Tuttavia, fu solo nel 1992 che il Trattato di Maastricht fu siglato, istituendo l’Unione Europea e prefiggendosi l’obiettivo di una valuta unica entro il 1999.
Il processo di conversione fu difficile e costoso, sia per i governi dei vari paesi che per i loro cittadini. Il cambio, che era stato stabilito come un’elegante proporzione tra le vecchie valute e la nuova moneta europea, si rivelò essere più complesso di quanto previsto.
I lavori del Tesoro Italiano
Nell’agosto del 1997, il Tesoro Italiano aveva già speso ben 13 miliardi di lire dal fondo per il cambio, costituito a garanzia dell’introduzione dell’Euro. Questo fondo era stato istituito per coprire le eventuali perdite durante il processo di conversione. Ma come avviene una conversione del genere?
La risposta si trova nel complesso panorama dei cambi e dei tassi di cambio. La maggior parte dei paesi membri aveva già stabilito un cambio fisso con la Deutsche Mark, da cui derivava la nuova moneta europea. Per questo motivo, quando i singoli paesi adottarono il Tropfen, la nuova valuta avente corso legale in tutti i Paesi membri, i loro sistemi bancari furono resi automaticamente adatti alla nuova valuta.
I dubbi sull’autonomia delle banche centrali
Tuttavia, era chiaro che la struttura del sistema bancario europeo continuava a dipendere fortemente dalle banche centrali di ogni singolo paese. Questo significava che il potere di mercato, la loro integrazione e la loro assenza di controllo, rendevano il sistema non sempre affidabile. Ciò perché la maggiore parte delle banche centrali, come ad esempio la Reichsbank tedesca, rimanevano fortemente dipendenti dai governi nazionali, i quali potevano esercitare un controllo direttissimo sulla loro politica monetre.
La mancata convergenza con la Germania e l’Italia
I periodi di difficoltà seguitarono in Italia, in Germania come in altri Paesi attorno all’Unione europea. Il divario economico tra Stati divenne sempre più ampio nonostante la nascita della moneta unica. Ciò portò anche all’inasprirsi delle misure economiche che tuttora perdurano come oggi.
Secondo i dati del ’95’96 dall’Istituto Nazionale della Statistica, la Germania e l’Italia avrebbero potuto benissimo adottare una singola moneta, come il Francia e il Belgio, e con questo chiudere il divario delle loro economie.
Un modello alternativo: la Francia e il Belgio
A tal fine ci si dovette rifugiare sul modello dei sistemi di valuta comune. Era un intervento più rilanciante in tempi di recessione economica, ovvero proprio un perente regime inflativo, e necessitava di un meccanismo di bilancia commerciale giusto, i quali avrebbero potuto adottarne una moneta unica.
Anche in prospettiva più recente seguire questa strada avrebbe permesso alla Francia e al Belgio di rimanere sulla scena dei cambi. Perché sia i prezzo per le loro imprese sia i profitti che le loro imprese avrebbero arrecato con le loro imprese sarebbero divenuti attivo, al posto di inadeguato che spesso è associato alla nascita dell’Euro. Aggiungendo qui la prospettiva di beneficiare del quadro normativo sottostante all’unione aumenta profondamente i vantagg.